2. Il tempo

Molte opere, realizzate in più anni, hanno per titolo Kronos, il tempo. L’artista lavora molto su questa dimensione, soprattutto a livello metafisico, con soluzioni formali a volte archetipali, a volte quasi dadaiste, spesso di una geometria pulita che sembra evocare colori e architetture dell’arte classica, mediterranea come extraeuropea.

Come il tempo viene rappresentato nelle sue sculture-quadro? Dove si annida, come passa o resta? Innanzitutto come architettura intrinseca di ogni opera. Walter arriva da una formazione manuale forte, come forte è stato nel lavoro edilizio condotto a fianco di suo padre prima di intraprendere la carriera artistica che lo vedrà arrivare a essere docente all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Questo innato e provato spirito di costruzione, questa sua capacità progettuale empirica, lo aiutano da sempre nell’ideazione dei suoi lavori, che nascono col tempo e grazie al tempo, ora cronologico, ora astratto, a volte semplicemente poetico. Il tempo lo sentiamo anche attraverso il concetto di narrazione che Walter mette in risalto con la serie Il legno racconta e Le pietre raccontano. Forma dopo forma, colore dopo colore, intarsi e ceramiche con figure di un pantheon idealizzato dall’autore, l’osservatore viene condotto dentro le stanze della sua arte -le opere sono mappe viste dall’alto e se le rendessimo tridimensionali diverrebbero templi- dove può a sua volta trascorrere il proprio tempo, di emozione, di lettura, di comprensione. Alla visione di insieme delle opere si sovrappone a visione introspettiva di ogni particolare, dove il dettaglio è un microcosmo frattale che prende qualcosa dal suo contesto e lo moltiplica al suo interno, quasi fossero matrioske bidimensionali. Questo nelle sculture a parete, nelle maschere come nelle piccole sculture, ma anche nelle stele. E sull’ispirazione delle sue stele in ceramica entra un dato temporale fondamentale: le stele di 5000 anni fa rinvenute sul territorio della Lunigiana, conservate e visibili nel Museo di Pontremoli. Quando Walter le vide sentì di non essere ‘qui’, ma di essere il suo antenato in quel momento, agendo per recuperare dentro di sé una motivazione, uscita dopo quattro anni di riflessione e lavoro.

Nella comparazione con le maschere africane della Collezione del Museo Castiglioni è possibile cogliere il forte dato archetipale delle sculture, proprio perché molte forme e forme di pensiero evocato appartengono al patrimonio inconscio dell’umanità, come sosteneva anche Jung.

“Il Museo Castiglioni mi ha colpito moltissimo; pensavo al colonialismo, a tutte quelle forme di allontanamento dei popoli dalle proprie Arti e come l’arte può unire e levare tutto -spiega Tacchini- l’arte è importante perché è la funzione libera comune a tutti gli uomini, non è che li divide, voglio dire, il piacere della scoperta di questo museo mi ha fatto riflettere moltissimo. Perciò diventa arte contemporanea anche quella che è stata fatta 10000 anni fa; nel profondo dell’uomo dell’animo di ognuno che si esprime è sempre dovuto perché l’uomo impara dall’uomo se lo coltivi, se no viene la guerra”.

Così la sua fantasia surreale e fantastica, la sua forma tridimensionale o bidimensionale delle opere, altamente riconoscibile come generazione sua, arriva a scavare le testimonianze archeologiche, attualizzando un messaggio millenario in arte contemporanea. Il tempo per Walter è quella finta colonnina di mercurio al centro delle opere (spesso terminanti con una sfera e quasi ricordante gli gnomoni delle cattedrali) che dipinta in colori diversi rimanda la luce e lascia a noi il flusso delle nostre riflessioni, aiutati dalla luce riverberante. (D. Ferrari)